La banana è un soggetto relativamente nuovo nella storia dell’arte occidentale: importata dall’America, è arrivata in Europe solo all’inizio del Cinquecento. Sulle tavole e nelle tele dei pittori è dunque comparsa molto in ritardo rispetto a tanti altri frutti che si incontrano più spesso nelle nature morte dipinte, come mele, uva, pere, pesche. Nonostante il ritardo, la banana è diventata uno dei frutti che soprattutto nell’arte più contemporanea è stato largamente rappresentato e rielaborato, diventato spesso e volentieri il soggetto unico dell’opera.
È il caso per esempio, dell’ultimo lavoro di Maurizio Cattelan, presentato lo scorso dicembre 2019 all’Art Basel di Miami. Cattelan ha stupito il mondo dell’arte (e non solo) presentando l’opera, che, ad un anno di distanza, non ha ancora smesso di far discutere. Comedian è il titolo che l’artista padovano ha dato a quella che è stata subito definita come “la banana di Cattelan”.
L’opera, che ormai tutti conoscono bene, consiste in una banana vera e propria fissata alla parete bianca tramite una striscia di nastro adesivo grigio scuro, di quelli che si trovano in ogni negozio dedicato al fai da te o bricolage. Niente di trascendentale quindi, almeno per quanto riguarda i materiali e la tecnica di realizzazione dell’opera, ma non è questa la novità: Cattelan non ha mai realizzato in prima persona nessuna delle sue opere precedenti, non letteralmente. L’artista ha l’idea progetta la realizzazione dell’opera, ma non è mai lui a realizzarla in concreto: non è stato Cattelan a scolpire l’Hitler inginocchiato (Him, 2001) o il gigantesco dito medio che svetta al centro di Piazza Affari a Milano (L.O.V.E., 2010). Cattelan è stato definito come un artista concettuale, che ìdea l’opera, ma non la realizza manualmente, perché il valore del suo lavoro non sta nella tecnica di esecuzione, ma nell’idea, nel concetto espresso, appunto, che è interamente frutto dell’artista. Comedian rientra quindi totalmente nell’ambito del suo lavoro. Se tuttavia, “la banana di Cattelan” ha sollevato così tante polemiche, è stato per una serie di motivi combinati e concatenati tra loro, a partire dal fatto che l’opera ha una vita brevissima, perché la banana marcisce dopo pochi giorni, anche se conservata con tutte le accortezze del caso; inoltre, il fatto che l’opera viene venduta insieme ad un certificato che spiega all’acquirente come e quando sostituire i vari componenti dell’opera, quando sostituire la banana con una nuova banana (e di che forma e grandezza questa deve essere) e che tipo di nastro adesivo utilizzare, quanto deve essere lungo e largo, che angolazione devono avere i vari elementi quando posizionati sulla parete (e che tipo di parete deve essere, di che colore). Inoltre, ad alimentare la discussione attorno a Comedian ci sono stati altri due grandi eventi, risalenti a pochi giorni dopo la sua presentazione, quando era ancora esposta all’Art Basel: il fatto che è stata venduta per 120.000 dollari, e il fatto che l’opera è stata “manomessa”, “distrutta” e letteralmente mangiata da David Datuna, un altro artista contemporaneo, il quale è stato filmato mentre si avvicina a Comedian, stacca la banana dalla parete e la mangia con gusto. Datuna ha intitolato questa sua performance Hungry Artist, “l’artista affamato”, ed è visibile sul suo profilo Instagram. Datuna ha dichiarato che l’installazione di Cattelan era “very delicious”.
Tutto questo ha alimentato il polverone alzatosi attorno a Comedian e ha spinto critici e appassionati a ricercare nuove spiegazioni e teorie sul senso o non-senso dell’opera, che ancora oggi non si sono quietate. Non c’è (ancora) una spiegazione univoca del significato di Comedian anche perché Cattelan non ha rilasciato dichiarazioni in merito, lasciando che i critici si scagliassero l’uno contro l’altro, probabilmente godendosi lo spettacolo.
Cattelan non è stato comunque il primo artista ad utilizzare la banana come soggetto: un’opera molto più classica rispetto a Comedian, è la tela di Giorgio de Chirico, L’incertezza del poeta, del 1913, conservata alla National Gallery di Londra.
L’artista metafisico accosta un casco di banane molto mature, con la buccia già segnata, ad un busto di un nudo femminile, posizionati entrambi in primo piano rispetto allo sfondo con una una piazza deserta. L’opera rappresenta al meglio il suo primo periodo metafisico, con l’assenza della figura umana, le lunghe ombre portate degli edifici e il senso di stasi temporale.
Un’altra famosa banana nella storia dell’arte (e della musica) è quella che Andry Warhol realizzò per la copertina del self-titled album dei Velvet Underground & Nico, nel 1967. Realizzata in serigrafia, in giallo e nero, la banana si staglia sullo sfondo bianco, perfettamente pulito, quasi minimale.
Warhol, la banana e il suo lavoro per i Velvet Underground & Nico vengono ripresi da IABO nel suo lavoro Banana Republic (Andy Warhol), opera acente parte della serie in cui l’artista innova lo schema del ritratto maschile di profilo tardogotico e del primo Rinascimento: utilizzando pochi colori a tinte piatte, semplifica i volti dei suoi soggetti al massimo, utilizzando la stessa traccia di base, così il suo Warhol arriva ad essere riconoscibile solamente grazie ai capelli bianco ghiaccio. Il marchio delle banane Chiquita accompagna il ritratto proprio rifacendosi al lavoro realizzato per i Velvet Underground & Nico.
Questa serie di ritratti così semplificati, quasi grafici, deriva dall’esperienza di IABO come writer: da qui derivano i colori accesi, le forme ripulite da ogni dettaglio, la spessa linea nera di contorno.
Anche Erika Calesini, artista romagnola contemporanea, realizza un’opera vicina a quello di Cattelan, in quanto utilizza delle banane (anche in questo caso vere, ma resinate, lavorate in modo che non marciscano) nel suo Banana Box Smile, una scultura-oggetto pop dai colori brillanti, che invita lo spettatore a sorridere. Il lavoro è un esemplare unico, un assemblaggio che rispecchia lo stile colorato, divertente e sprizzante gioia della Calesini, la quale è molto attenta a riciclare materiali e oggetti nei suoi lavori, dando loro un nuovo significato e una nuova vita.
Infine, il progetto Bananatiama di Fè, artista che lavora nell’ambito del design e delle arti visive, realizzando oggetti e opere dai colori squillanti in stampa 3D e lavori in acrilico più classici. Bananatiama è una serie di lavori incentrati sulla figura iconica del frutto, comprendenti sia sculture, che dipinti. L’idea è quella di offrire allo spettatore una banana completamente diversa da quelle reali, vendute dalle grandi multinazionali: le banane di Fè non marciscono, si acquistano una volta e rimangono con l’acquirente per sempre, sono a km zero, la loro produzione e vendita non inquina, sono di tutti i colori e pattern, tridimensionali e bidimensionali, ce n’è davvero per tutti i gusti. Con Dipped (bananatiama), Fè realizza una scultura verniciata e rifinita a mano dopo essere stata appunto dipped (immersa) nel colore azzurro, che la ricopre per metà. L’opera è minimalista: se la superficie della banana è lavorata per restituire la buccia imperfetta del frutto reale, ogni altro elemento, compreso il colore, viene eliminato, astrando al massimo il soggetto.
Banana Tiama Toile de Juoy, è un altro lavoro di Fè, della stessa serie. Realizzata in acrilico su una stoffa dalla fantasia Toile de Juoy. Il pattern blu scuro del tessuto di supporto contrasta con il rosso acceso della zona dipinta dall’artista nella forma di un cerchio decentrato rispetto al supporto circolare. Della banana questa volta resta solo la silhouette nera, come fosse un’ombra portata e la “vera” banana fosse sospesa al di fuori dell’opera.
Banana Tiama Toile de Juoy, nega gli aspetti più riconoscibile della banana: il giallo, che da solo è l’elemento più iconico e riconoscibile del frutto, viene a mancare; inoltre, la sua tridimensionalità, che in Dipped era mantenuta, qui viene eliminata. Quello che accomuna le due opere è il desiderio dell’artista di sintetizzare al massimo il soggetto, arrivando ad eliminare ogni elemento che non sia assolutamente essenziale, fin quando tutto ciò che rimane è la sagoma del frutto e nient’altro. Fè rende la banana un’icona, nel vero senso della parola greca “εἰκόνα” da cui deriva, significante una “immagine sacra”.